venerdì 2 luglio 2010

Il sorriso di mio figlio..



..il sorriso di mio figlio..

racconto scritto pensato sognato da njara


Starsene seduti qui a riflettere è come se il tempo non trascorresse mai
Ho settant'anni. Settant'anni spesi male, a giudicare da come sono rimasto. Solo. Sono solo.
Mia moglie è morta da tempo ormai. Mio figlio... un figlio soltanto. Enrico...
Quanto tempo è trascorso. Vent'anni. Vent'anni che non lo vedo. Vent'anni che non sento la sua voce. Non è morto. Se n'è soltanto andato. Mi ha lasciato.
Un figlio può lasciare suo padre? Non siamo divorziati. Che stupido! Non esiste il divorzio fra un padre e un figlio. Esiste l'abbandono.
Di solito si legge che un padre abbandona suo figlio. A me è successo il contrario. Mio figlio vent'anni fa, non ha voluto più saperne di me...
come è potuto accadere? Io... gli ho voluto subito bene a quel faccino raggrinzito. Un bene inestimabile. Forse non gliel'ho mai detto. Ma a che servono le parole? Neanche mio padre mi ha mai detto che mi voleva bene... ma io non l'ho abbandonato. Io sono rimasto con lui. Fino alla fine. Fin quando stringendomi la mano, con un sussulto se n'è andato.
Ma io c'ero quel giorno...
Pallido. Consumato. Ma quanto mai forte. Non avevo mai visto mio padre cosi forte come il giorno che è morto.
Non parlò quel giorno mio padre. Ma tanto non faceva differenza, mio padre non parlava mai molto.
I suoi silenzi riempivano l'aria di tutti i giorni. I suoi sguardi. I suoi rari sorrisi...
mi piaceva veder sorridere mio padre. Era come veder sorgere il sole per me. Sentivo il calore quando la sua bocca si atteggiava al sorriso. Peccato fossero cosi rari. Peccato piovesse cosi spesso in casa mia...
la mamma... povera mamma. Deve aver sofferto tanto, accanto ad un uomo cosi.
Non era cattivo mio padre, solo cosi silenzioso... chissà se le ha mai detto ti amo.
Io a Laura lo dicevo spesso. Tante volte le sussurravo "ti amo"... lei no. Lei non me lo diceva mai... o quasi...
ah! Laura! Mi manchi sai... mi manca la tua voce. Mi mancano i tuoi sguardi. Mi mancano i tuoi silenzi.
Somigliava a mio padre Laura. Non nel fisico. Ma nel modo che aveva di starmi accanto.
Ricordo la prima volta che la vidi. Era gennaio. Un freddo gennaio di provincia.
La nebbia copriva le cose, mentre camminavo spedito verso casa.
Ero tornato dal militare da poco...
che brutta cosa la guerra... che brutta cosa... le bombe! Dio come fischiavano quando scendevano dal cielo.
Sembravano spilli quando erano lassù... ma poi.... uno spillo non ammazza tanta gente. Le bombe si...
avevo conosciuto un bambino. Un piccolo bambino di tre anni. Si chiamava Enrico.
Non riesco a dimenticarlo. Non ci sono mai riuscito in tutti questi anni. Eh si che ne sono trascorsi da quella volta...
aveva perso la mamma Enrico. Il papà era in guerra. Abitava con la nonna. L'avevo conosciuto mentre faceva la fila per prendere il pane...
un sorriso gli girava il volto, tanto era bello... a me sono sempre piaciuti i sorrisi. Scaldano il cuore i sorrisi... Enrico ce l'aveva caldo. Rassicurante. Aveva solo tre anni...
ricordo che non parlammo molto. Mi disse il suo nome e mi strinse la mano. Come un grande... come un uomo.
E poi in silenzio si mise in fila con la nonna...
indossava una giacchetta tre volte la sua misura. Pantaloncini corti e rossi... sembrava un clown. Non aveva il naso rosso però... solo un bel sorriso caldo.
Lo incontrai tre volte. E tutte e tre le volte, mi venne vicino, mi strinse la mano, mentre con un sorriso mi ripeteva il suo nome.
Poi quel giorno... la sirena fischiò in un momento. La folla assiepata davanti al negozio, iniziò a disperdersi... io non vidi più nulla se non le mie gambe che correvano. Mi infilai in un portone e senti il rumore. Amaro. Assordante. Orribile.
Mi chiusi le orecchie con le mani. Le narici fremevano alla puzza di gas che si spandeva nell'aria.
Le gambe, i piedi volevano soltanto dormire. Avrei voluto morire, pur di non uscire da quel portone...
avvertivo un senso di disagio allo stomaco. Come se mi attendessi chissà cosa... non era la prima volta che vedevo una bomba cadere. Che ne sentivo lo scoppio. L'odore di gas...
finalmente usci dentro il silenzio e le grida dei passanti...
mi avviai non so perchè al negozio del pane... la fila non c'era più. Tirai un sospiro di sollievo. Enrico non era li. Nemmeno sua nonna.
Le gambe ripreso il loro ritmo. Il respiro anche.
Noooooooooooo! Questo senti mentre mi giravo. Un no urlato, gridato, scorretto e scurrile...
non ce la feci a voltarmi. Presi a correre, a correre come non avevo mai fatto nella mia vita. Più correvo, più quel no mi premeva nella testa.
Enrico è morto gridava quel no. Enrico è morto...
non so perchè, ma lo sapevo. Sapevo che era cosi, dal momento stesso che il disagio dentro il portone mi aveva colto. Dal momento in cui... mi fermai all'improvviso. Cosi repentinamente come mi ero messo a correre.
Mi girai e camminai, finchè non giunsi davanti a quel no...
Era li. Fermo. Immobile. Una gambina sotto l'altra. I pantaloncini rossi sdruciti. Il cappello... no. Enrico non aveva cappello.... solo quella scarpa avvoltolata su se stessa in mezzo al marciapiede.
Mi chinai. Lo raccolsi fra le braccia. Sul suo viso l'ombra del sorriso c'era ancora.
Io la vidi. La presi. La portai con me, mentre deponevo il corpo fra le braccia di sua nonna...
povera donna. La figlia morta... il genero in guerra. Forse aveva anche qualche figlio a combattere chissà dove... ed ora Enrico...
fu li che decisi, che se avessi avuto un bambino, l'avrei chiamato come lui. Come quel piccolo sorriso che tenevo in tasca.
Ed ora eccomi qui. A settant'anni a chiedermi perchè mio figlio mi abbia lasciato.
Non è morto Enrico. Mi ha solo lasciato...
"Papà... papà"
"Chi sei?" due occhi bruni, mi guardano da sotto un cappello.
"Sono Lara, papà... la moglie di Enrico.
Enrico non ha moglie. Non si è mai sposato il mio Enrico. Che sta dicendo questa qui?
Meglio rimettersi a pensare. A che serve ascoltare chi non conosco...
"Papà... niente. Tutte le volte la stessa storia... non mi riconosce. Rifiuta la realtà. Enrico è morto, e lui non vuole accettarlo. Dice che se n'è andato vent'anni fa senza una spiegazione... e sono solo trascorsi due anni.
Da due anni lui è cosi... Suor Lucia, ho dovuto farlo, mi capisce. Non ce la facevo più. Tutti i giorni mi ripeteva la stessa storia... mi raccontava di un bambino di nome Enrico, morto sotto i bombardamenti... e poi diceva che aveva messo lo stesso nome a suo figlio, in ricordo di quel sorriso che lui teneva in tasca... povero papà..."
"Anche a noi l'ha raccontato. Ogni volta che qualcuno gli chiede come sta, lui attacca con questa storia. Povero signor Giorgio... a volte succede sa... a volte succede..."
Ma queste sono matte. Tutte e due. Ma che stanno blaterando. Povero Signor Giorgio...
Mica sono scemo. Mica sono malato... e se racconto quella storia, è perchè è accaduta. Perchè quel piccolo bambino non c'è più... che male c'è a parlarne...
Eh già. I vecchi ripetono sempre le stesse cose. I vecchi...
E quella donna che viene qui? Non mi dice sempre che è la moglie di Enrico? Ma lei non è vecchia... e nessuno le dice: "povera signora"
E poi Enrico non si è mai sposato. Enrico se n'è andato... mi ha lasciato, perchè sono stato un cattivo padre... non gli ho mai detto che gli volevo bene. Non gliel'ho mai detto... lo stringevo forte a me, ma non riuscivo a dirglielo.
Enrico non è morto.
Il bambino Enrico si. Mio figlio no. Mio figlio un giorno verrà qui. Lo so. Ne sono sicuro. Verrà qui, mi darà una scrollata ai capelli, come faceva sempre. Mi regalerà un sorriso. E mi dirà: "Vieni papà, andiamo a casa."
Io lo aspetto qui. Non mi muovo... non mi importa se questa qui... ma a che serve mentirsi ancora?
Io lo so che è mia nuora... io lo so. Ma non glielo dico. Lei... Enrico non è mai stato felice con lei... io lo sapevo. Lui me l'aveva detto tante volte. Povero Enrico... povero bambino mio.
Avevi soltanto cinquant'anni. Io dovevo morire. Non tu. Non riesco a perdonarmi di non essere morto io...non riesco a perdonarmi...
"Papà... papà... io vado a casa. Vengo domani, o dopodomani. Va bene?"
Non la guardo. Non la voglio guardare. Viene qui per pietà. Per compassione. Per farsi commiserare da queste suore. Che vuole da me? Che viene a fare?
A ricordami che Enrico è morto?
Io lo so che è morto. L'ho anche visto...
sono corso dopo quella telefonata dei carabinieri.
Corso, non è la parola giusta. Mi sono scapicollato in strada.
Mi sembrava di riudire il fischio delle bombe. Erano solo le sirene della polizia...
Avvertivo il senso di disagio nello stomaco. Lo stesso di quel giorno... e più forte arrivava, più io correvo.
Poi sono arrivato e l'ho visto. Un lenzuolo copriva un corpo... sapevo che era Enrico. Lo sapevo.
Avevo riconosciuto la scarpa in mezzo al marciapiede.
Ironia della sorte... anche se questa era più grande... più lucida... senza buchi sotto... somigliava all'altra. A quella piccola scarpina di tanti anni prima... ma questa era la scarpa di mio figlio.
Ricordo che l'ho raccolta. Poi mi sono avvicinato. Un carabiniere mi ha chiesto chi fossi. Alla mia risposta mi ha stretto il braccio... poi è sopraggiunta mia nuora. Gridava povera donna. Gridava come la... no! Non era lo stesso grido. Questo era più acuto. Più stridulo. E non c'era dolore nel suo grido. Solo stupore.
Ora lo so. In quel momento non ci feci caso. Ma ora lo so...
Comunque mi sono avvicinato al corpo. Ho tirato giù il lenzuolo. Ho visto un maglione azzurro. Una cravatta allentata e messa di sghimbescio. I capelli neri pieni di fili bianchi erano spettinati... glielo dicevo sempre a Enrico che aveva troppi capelli per quella testa...
poi sono sceso con lo sguardo... e ho visto il suo sorriso. Di nuovo, come quella volta, l'ho raccolto, e l'ho messo in tasca. Ho asciugato una lacrima su quel volto che amavo. Ho pianto in un attimo, una vita insieme a lui.
Poi me ne sono andato... ho camminato tanto quel giorno, la mano stretta nella tasca dei pantaloni a conservare qualcosa che era solo per me.
Il sorriso di mio figlio.
Glielo darò ad Enrico. Glielo darò quando verrà a trovarmi. Io lo so che verrà. Io lo so... e quel giorno gli dirò che gli voglio bene. Che gliene ho sempre voluto. E che mi dispiace non averglielo mai detto.
Ma io lo so che capirà. So che capirà questo vecchio brontolone, incapace di parlare... lo capirà perchè mio figlio è intelligente. Lui ragiona con il cuore. Mica come me che uso solo i piedi per correre...
Quando Enrico verrà, gli mostrerò il suo sorriso. Gli dirò che l'ho conservato per lui. Gli dirò che l'ho sempre tenuto con me... e che mi ha aiutato tanto a scaldarmi quando la pioggia cadeva fitta, e il vento soffiava impetuoso... glielo dirò a mio figlio... quando verrà.

..njara


8 commenti:

  1. Njiara mi sono commossa fino alle lacrime,racconto struggente che accenna con molta levità alla condizione di anziani,costretti a vivere in una casa di riposo,lontani dagli affetti,il tutto epresso con fluidità.bella l'immagine "ho raccolto il suo sorriso".ciao buo fine settimana

    RispondiElimina
  2. E' una storia molto triste e commovente, perché è vera. Grazie :-*

    RispondiElimina
  3. njara, riesci sempre a donarmi delle emozioni grandissime con i tuoi racconti....
    Avevo la pelle d'oca ....ancora complimenti
    un abbraccio caldo
    Sabrina

    RispondiElimina
  4. Mi sento vicina al pensiero espresso da Gabe,sai,sin dai primi versi mi pareva leggere una lettera,uno scritto di un uomo che sapeva cosa significasse l'amare,leggere la sua storia ha rappresentato viverla sulla mia pelle,nel mio cuore,profondamente.Grazie Njara,sei straordinaria,in quanto le emozioni giungono solo attraverso la capacità dello scrittore,che deve sapientemente riportare lo scritto rispettando la linea del proprio cuore.Mito Njara ;)
    Un abbraccione,buonissimo weekend amica :)

    RispondiElimina
  5. uno specchio di vita quotidiana...una pagina di vita vissuta....
    Ricca di sentimento ,fa riflettere sul tempo passato,su uello che dovremmo dire ma spesso non facciamo...
    non si può tornare indietro...il lasciato è perduto,così come le occasioni che quotidianamente ci vengono riservte...ama che spesso non cogliamo!
    un bacio Lu

    RispondiElimina
  6. Hai parlato di un uomo angosciato nel suo dolore e lo hai reso vivo agli occhi di chi ti ha letto: sai scrivere molto bene, con fluidità, con incisività..leggerti è un vero piacere. Tornerò ancora a leggerti. Ciao a presto

    RispondiElimina
  7. Ciao Njara, eccomi a visitare il tuo blog che ancora non conoscevo, mentre già da molto tempo mi è noto il tuo sito, il cui banner è linkato fra i miei "Siti Amici" da tre anni almeno.
    Ho letto alcuni dei tuoi post, sono racconti e pensieri che vanno dritti a toccare il cuore del lettore, in una girandola di emozioni che da vera scrittrice sai suscitare.

    Oggi ti lascio con un sorriso intriso di lacrime, perchè da quando ho letto questo tuo racconto, proprio non riesco a fermarle.

    RispondiElimina